Vorrei esprimere alcune considerazioni/osservazioni
in generale sull’ambiente trialistico ed in particolare perché
padre di un pilota expert.
Dopo 20 anni di gare a tutti i livelli, (dal minitrial al
mondiale), un minimo di esperienza posso dire di averla senza
peccare di presunzione ed è un dato di fatto che attualmente per
raggiungere livelli alti nella pratica di questo sport occorrono:
- un minimo di 4/5 ore al giorno di allenamento in moto per almeno
5 giorni alla settimana,
- preparazione atletica programmata e individualizzata,
- preparazione meccanica della moto impeccabile,
- almeno 2 persone fisse che fungano da accompagnatori/allenatori
sul campo, durante le uscite in moto, preparate tecnicamente e
seriamente motivate (i primi nel mondiale ne hanno addirittura 4!)
che saranno poi coloro che seguiranno in gara il pilota,
- l’appoggio di un meccanico disponibile per ogni emergenza, visto
che il mezzo deve essere sempre utilizzabile,
- la disponibilità immediata di ricambi ed il contatto rapido con
la “casa madre” della moto,
- l’appoggio di un fisioterapista o tantomeno di un centro
specializzato disponibile in tempi brevissimi
tutto ciò se si vuole emergere. E’ evidente che ciò comporta anche
una dedizione totale di tempo visto che non ne rimane per fare
praticamente altro, diventa insomma un lavoro a tempo pieno.
Ora, io mi chiedo come si fa a praticare un lavoro dove sono più i
soldi che escono di quelli che entrano? In nessun campo lavorativo
si paga per lavorare, non dovrebbe infatti essere il contrario?
Da giovane tutti dicevano al pilota: vedrai che poi gli aiuti
arrivano…, campione italiano senior a soli 17 anni, oggi a 22
anni: 3° nel campionato Italiano, 2° nell’Europeo, 15° nel
Mondiale, e la realtà è che gli sponsor garantiscono solo
materiale tecnico, gli aiuti economici per contratto arrivano solo
con determinati risultati che attualmente sono assurdi da
conseguire.
Cercherò di spiegarmi meglio. E’ un po’ come il gatto che si morde
la coda, se non ci si può permettere di affrontare anche le
trasferte più lontane di un mondiale, si perdono di conseguenza le
possibilità di prendere punti, come si può perciò pretendere di
entrare nei top rider del campionato?
I km percorsi per le gare effettuate e le spese affrontate non
giustificano i risultati: che senso ha fare 3600 km per ottenere
un punto nella classifica mondiale quando il premio gara per quel
punto non copre le spese neanche per i primi 400 km? (per la
cronaca quest’anno i km percorsi con il camper solo per le gare
sono stati 29.000).
Partendo dal presupposto che ciascun atleta che partecipa ad una
gara si prepara con scrupolo non lesinando i sacrifici per il suo
sport preferito e ci tiene a dare il meglio di sè, il fatto che
poi le sue speranze di podio non trovino riscontro con la realtà
per una serie di motivi (che vanno dalla giornata storta
all’infortunio, dai problemi meccanici del suo mezzo alle prove
particolarmente ostiche) non dovrebbe incidere sul suo compenso
perché il viaggio per arrivare sul posto gara a lui è co-stato,
tutte le spese sono state sostenute ugualmente, senza poi
valutare, se vogliamo punirlo per il mancato risultato, il suo
lavoro come atleta.
Solo la benzina per gli allenamenti costa una media di 1.000 euro
l’anno. Il pozzo di S. Patrizio si è esaurito, i genitori (ed i
nonni) hanno ormai dato fondo a tutti i risparmi ed hanno altresì
investito in questa attività sportiva, hanno dovuto cambiare
lavoro, perdere molte attività per avere più tempo libero da
dedicarvi, hanno dimenticato cosa voglia dire “fare le ferie”, i
meccanici ed i “seguitori “ vanno rimborsati per le spese che
sostengono quando seguono il pilota, se non anche remunerati visto
che anche loro devono vivere e non possono perdere il loro lavoro.
A 22 anni mio figlio pilota/studente non ha ancora cominciato
neanche lontanamente e mettere da parte qualcosa ed è sempre
dipendente dalla famiglia, un universitario investe gli anni di
studio per il futuro, ma nel nostro caso il suo impegno sportivo
non può permettergli neanche di cercare di dare alcuni esami.
Provate ad immaginare cosa si prova a paragonarsi, nello stesso
sport, con chi è pagato per farlo, per non parlare poi se proviamo
a fare paragoni con sport più ricchi, altrimenti…
Al di là comunque di qualsiasi discorso economico questo sport ha
raggiunto livelli spaziali di difficoltà, sia per la tecnologia
delle moto, sia per le moderne tecniche di allenamento e
preparazione dei piloti. Mi chiedo dove andremo a finire se nel
Mondiale attualmente necessitano 2 meccanici in zona con tanto di
pettorale? Se i piloti decidono di non prendere il via per la gara
dopo aver visionato il percorso giudicandolo troppo pericoloso? Se
non possono permettersi l’assistenza di 2 persone? Se partono in
21, arrivano in 18 e dal n°7 o 8 di pettorale già decidono di
saltare senza provare 3 o 4 zone su 15 perché impossibili, vuole
dire che le difficoltà sono esagerate, perché tracciare solo per i
primi 3 o 4 che si giocano il Campionato? Perché aspettare sempre
che succeda qualcosa? E se succede, ma non ai primi 3 o 4 top
rider nessuno se ne accorge?
In ogni sport, ma anche in ogni gara motociclistica che si
rispetti, esistono norme ben precise per la sicurezza che dovrebbe
venire prima di qualunque altra cosa, eppure nel trial sembrerebbe
proprio di no. Chi decide che un ostacolo è pericoloso oppure no?
Forse un giudice che non è mai salito in moto? Come può un giudice
permettersi di vietare l’ingresso in zona al seguitore che aiuta
se ogni pilota ha un proprio modo di vedere l’ostacolo? Per
mettere una corda per il meccanico in zona bisogna aspettare che
il pilota cada? Perché non ascoltare il parere anche dei piloti di
“2° piano” al briefing (che tra l’altro i big non frequentano
mai!)? Se proprio si vogliono mettere in gara zone che siano
“spettacolarmente pericolose” esistono anche reti, balle di
paglia, vie di fuga, gonfiabili, etc., siamo negli anni 2000 e non
si può sempre rispondere “il trial è sempre stato così, o vai su o
non vai su” !!! Complimenti per la risposta, alla faccia della
626! La gara dovrebbe essere difficile fin che si vuole ma mai
pericolosa, altrimenti si assisterà sempre alla fuga dei piloti
che faranno di tutto per non passare di categoria, visto che come
detto di professionisti veri e propri ne esistono ben pochi.
Comunque dopo anni di attesa ecco finalmente un italiano a punti e
nei primi 15 della classifica finale del Mondiale. Con 4 gare in
meno, mille sacrifici, molti problemi si è finalmente riusciti ad
entrare nei “ top 15”, grande soddisfazione in famiglia e tra i
pochi amici che hanno capito quanto ci siano costati. Già, tra i
pochi amici, perché alla fine chi lo sa se persino le riviste di
settore pubblicano foto e/o servizi che non rispecchiano i reali
risultati? Mi chiedo come sia possibile procacciarsi sponsor se
neanche sui periodici leader del settore fuoristrada di 402!
pagine non compare una fotografia o una menzione dei risultati
ottenuti. Sembra non abbia nemmeno preso il via ad alcuna gara.
Eppure alla penultima dell’Italiano ha finito la gara per onore e
per volontà dopo un brutto infortunio che poteva avere conseguenze
serie, ma chi lo sa? E’ chiaro che 15° al Mondo “non è nessuno” ma
è pur sempre il 1° italiano, e comunque a sudare e soffrire sulle
60 zone “da mondiale” c’era anche lui, ma chi lo sa?
Le esperienze che si vivono e le emozioni che si provano
praticando questo sport finora hanno sempre ripagato ampiamente i
sacrifici fatti, ora non più. Sul piatto della bilancia l’ago
pende troppo fortemente dalla parte negativa e niente ripaga gli
sforzi, i costi, i rischi.
Allora, visto che per garantirsi un futuro un trialista deve
essere almeno campione del Mondo, o in un gruppo sportivo
militare, oppure avere la fortuna di una famiglia benestante alle
spalle, visto che tutti gli sforzi, gli allenamenti e la
preparazione non rispecchiano i reali risultati e che questi
ultimi non vengono neanche giustamente evidenziati, io appoggio
pienamente mio figlio nella scelta di prendere il trial solo come
puro divertimento ed hobby, ritirarsi dalla carriera agonistica e
togliersi da un ambiente che di professionistico non riesce ad
avere che la facciata, e non posso che ammirarlo dal più profondo
del cuore per questa scelta difficile ma coerente e matura.
Fausto Orizio

Papà e mamma Orizio |