storia vera di un trialista qualunque

Ho ancora nel sangue il trial ed i momenti bellissimi che ho passato sia quando facevo gare che quando facevo gite. Ho smesso. O meglio; prendo la moto che ormai mi dicono essere d'epoca (ma che parte sempre dopo qualche pedalata) e mi presento ogni tanto alla partenza di qualche cosa non competitiva tipo il monte cimone, viozene, le valli orobiche. Ma ormai la tecnica si è diluita nel tempo e la moto mi sembra incredibilmente appesantita rispetto agli anni d'oro. Anch'io per altro sono appesantito. Sia di corpo che di spirito. La prima volta in assoluto che ho guidato una moto da trial sono andato con dei veri bastardi che mi hanno portato in un bosco con la neve e mi sono rotto un piede. Questa tecnica di iniziazione è tutt'ora in vigore. Il gruppetto originario era una emanazione della Promotor di Sergio Parodi. Molti si sono poi persi per la strada, alcuni neofiti sono entrati di diritto nel gruppo, altri hanno rinunciato dopo il primo tentativo. Ricordo in particolare un pallanuotista ed un crossista, ai quali era stata subdolamente imprestata una moto e furono portati in posti infernali, cioè boschi con tappeto di foglie bagnate e radici.
Entrambi con la preventiva convinzione che il trial fosse uno sport "di scarso impegno fisico"; il primo lo ricordo ansimante e piangente nel fango, il secondo furioso e convinto di una macchinazione cosmica ai suoi danni mentre noi gli portavamo su la moto.
Il gruppo, come la stragrande maggioranza del mondo del trial, è formato perlopiù da gente simpatica e cordiale. Raramente ricordo in gara di aver assistito a litigi. Ho anche fatto una DGDB, e ricorderò sempre che mi presentai in una zona con due ali di folla perchè "studiavo" la zona con al mio fianco Bosis. Gli chiesi se voleva passare e lui mi disse che era lo stesso. Lo lasciai passare e quando lui terminò la zona mi ritrovai solo. Non c'erano neppure i giudici di zona che erano corsi nella zona successiva per vederlo. Altre volte c'era la grandine, a volte la neve, oppure temporali furibondi e scrosci d'acqua. A viozene sono rotolato nel fango e ho travolto una giudice di zona che si era costruita un riparo dal diluvio. Dalla sua bocca sono uscite espressioni coloritissime. A Salice d'Ulzio sono precipitato in un buco e la moto è rimasta appesa ad un ramo con la ruota anteriore tra l'entusiasmo dei presenti. A Ovada sono caduto durante un trasferimento e nella botta ho perso uno stivale (poi ritrovato, ma ho terminato FTM).
Una volta invece sono stato investito (ero giudice di zona).Una volta il solito Parodi si presentò al solito posto con Miglio che ci fece vedere le solite pietre affrontate e superate in un modo al quale nessuno avrebbe mai pensato. In un'altra occasione il mio pollice ha fatto il giro della corona, ma per fortuna esso è ancora attaccato alla mano.

Non so se qualcosa è cambiato in questi 5 anni di inattività quasi totale, ma allora quello del trial era un ambiente multietnico di gente con la testa sulle spalle ed una sana inclinazione al non prendersi sempre troppo sul serio. Facevo anche le gare UISP, note per la grigliata che seguiva.
Le mie trasferte trialistiche avevano spesso una componente enogastronomica significativa.
Le gite invece erano più dietetiche: andavo spesso con un amico (lui non ostante due figli non ha ancora smesso) e ci portavamo il "pasto del trialista" che consisteva in uno yoghurt ed un "mars" e doveva durare fino a sera.

Da parte mia ho smesso di fare gite perchè sono un convinto sostenitore della necessità di rispettare l'ambiente, (è anche il mio lavoro) ma non sopportavo l'idea di venir braccato da cretini che mi correvano dietro nei sentieri che usavamo percorrere, tra discariche abusive e scempi edilizi, cioè l'entroterra ligure. Sappiamo che il trial non può essere fatto ovunque, e sappiamo che se fatto con giudizio non minaccia l'ambiente. Sappiamo anche che i sentieri percorsi da cavalli sono devastati rispetto a quelli percorsi da moto da trial. Ma i cavalli, con tutta la loro cacca naturale, sono "ecologici". I gitanti domenicali, i trombatori notturni, i fai da te del bagno e cucina sono ben più pericolosi dei trialisti, ma non fanno notizia.
"Multata una coppia di arrapati perchè riempono di fazzoletti, filtri di sigarette e preservativi il ciglio della strada": mai visto. Oppure "finalmente presi quelli con l'ape che scaricano televisori e cucine rotte lungo nel torrente": mai visto. Per non parlare delle speculazioni edilizie, delle strade di collina assolutamente inutili, degli abusivismi generalizzati e sempre ed ovunque incuria, boschi invasi da arrampicanti, spazzatura, auto buttate giù dalle strade, cessi rotti e materassi, squallore ed abbandono.

Ma mi dicono che alcuni comuni nell'entroterra di genova hanno istituito dei percorsi da trial che vengono così mantenuti dagli stessi trialisti. Ed ecco che allora mio fratello (verso i 50, sposato e medico di successo, uno dei bastardi della mia iniziazione) parte il sabato con sega e falcetto e, a volte con la stessa guardia forestale, tiene puliti sentieri che altrimenti verrebbero coperti da vegetazione. Non si tratta di sentieri famosi o noti ai gitanti a piedi. Si tratta di sentieri nei posti più sperduti, in quella terra di nessuno dove un sentiero può invece essere utile a chi il bosco lo sfrutta con intelligenza, o magari cerca di spegnere un incendio.

Credo che questa sia una strada percorribile per conciliare lo sport del trial e la necessaria protezione dell'ambiente ed il rispetto per quelli che vogliono godersi il bosco in assoluto silenzio; di sentieri, in liguria, ce ne sono a migliaia.

Il prossimo 12 dicembre il solito Parodi organizza la seconda cavalcata delle valli vattelapesca qui vicino e credo che metterò gli stivaloni. Se sopravvivo non è escluso che ogni tanto mi ripresenti al gruppo (suscitando le loro risa) e mi procuri ulteriori ferite alle caviglie con le conseguenti flebiti.
Le flebiti, ed i segni indelebili che esse comportano, sono il mio ricordo serale di quando vado a dormire e penso al mio glorioso passato trialista.

Ci sentiamo.

Stefano Menada. 
stefanotile@libero.it

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